I CAS per richiedenti asilo di San Giuseppe e Terzigno. Viaggio nel sistema di accoglienza vesuviano, tra solidarietà e business”

gennaio 12, 2017

Laboratorio Pubblico

Da Laboratorio pubblico n. 37, riproponiamo l’articolo : “I CAS per richiedenti asilo di San Giuseppe e Terzigno. Viaggio nel sistema di accoglienza vesuviano, tra solidarietà e business”. 


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Luisa Ammirati ha incontrato per Laboratorio Pubblico, Massimo Esposito, proprietario del CAS di Terzigno “Villa Angela”.

Il 2016 passerà alla storia come l’anno in cui il Mediterraneo ha inghiottito più vite umane: 3740 tra morti e dispersi. L’UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) informa che il numero di partenze dalle coste nordafricane tuttavia è in ribasso rispetto al 2015: si parla di una riduzione del 40% circa. Un fenomeno che riguarda tutti da molto vicino, perché l’Italia, come la Grecia o la Spagna, è una porta naturale di accesso all’Unione Europea e, per questo, meta dei tanti viaggi della speranza che migliaia di individui decidono di intraprendere. Quelli che hanno la fortuna di sopravvivere, giungono sul suolo nazionale e qui la loro odissea non è che a metà. Dove non può la sorte, giungono la burocrazia e la conflittuale gestione del fenomeno migratorio che caratterizza l’Europa. A Lampedusa, come a San Giuseppe o Terzigno, dove esistono da alcuni anni Centri di accoglienza che ospitano fino a 250 migranti. Una realtà che abbiamo provato a conoscere e che vogliamo raccontare con un’inchiesta che si svilupperà in questo e nei prossimi numeri di LP.

Dicevamo: diminuiti i barconi, aumentate le morti. Ma cosa affrontano i superstiti una volta giunti a destinazione? Per spiegarlo, abbiamo bisogno di tracciare per grandi linee il perimetro normativo entro cui la gestione dei migranti si muove nel nostro Paese. La politica d’accoglienza italiana, scandita dai tempi lenti della burocrazia, è piena di chiaroscuri, imbrigliata da normative di complessa applicazione. L’ultimo decreto in materia, il 142 del settembre 2015, apporta una modifica alla procedura, introducendo una distinzione tra i CAS (Centri di Accoglienza Speciale) e gli SPRAR (Sistema di Protezione dei Richiedenti Asilo e Rifugiati). Nei primi soggiornano i migranti che hanno fatto richiesto, una volta sul suolo italiano, di asilo politico. Nei secondi, coloro che hanno già ottenuto il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie. Entrambi sono gestiti dalle Prefetture, che devono provvedere alle spese economiche e alle funzioni ispettive di controllo e verifica delle strutture.

Il Centro di prima accoglienza si occupa di fornire un kit di sostentamento: abbigliamento, posto letto e pasti giornalieri. Si fa carico, inoltre, di aiutare i migranti nelle procedure per la richiesta di asilo politico, che prevede in più sedute la presentazione dell’individuo davanti ad una commissione territoriale incaricata della valutazione e dell’eventuale concessione dello status e del relativo permesso di soggiorno. Le domande respinte sono circa il 58%. Al diniego è possibile opporre ricorso, ma non a tutti i residenti nei Centri viene fornita la giusta informativa legale e, spesso, le procedure non vengono avviate.

Purtroppo, teoria e pratica coincidono di rado alle nostre latitudini. La complessa procedura che regola l’acquisizione dello status di richiedente asilo, talvolta, non viene spiegata nella maniera adeguata ai migranti presenti nel nostro territorio. Non avendo conoscenza delle regole e non disponendo di risorse economiche, molti hanno difficoltà a far valere un diritto riconosciuto dagli accordi internazionali. Una delle difficoltà maggiori è ovviamente rappresentata dal problema linguistico: quasi nessuna delle persone che giunge in italia parla italiano. Nei Centri, si tengono corsi in cui spesso l’insegnante è incapace di comunicare in una lingua diversa dalla propria e le lezioni sono calibrate sempre sullo stesso livello: troppo specifico per chi è sbarcato da poco nel Paese, troppo elementare per chi vi risiede da un anno. A volte, nei centri la situazione igienica è oltre l’umanamente tollerabile, ma la dignità della dimora passa purtroppo in secondo piano quando la vera prigione diventa psicologica e la paura di essere sbattuti fuori controlla ogni decisione.

La Campania non è certo estranea a questa realtà. Napoli, in particolare, ospita oltre il 50% degli arrivi di tutta la regione. Lo Stato li accoglie, li “smista” e li affida ad enti privati: un sistema in cui si incontra di tutto, nel bene e nel male. Sono ben 22 i CAS distribuiti tra capoluogo e provincia. Tra questi, ci sono il CAS “Family – Centro Gaia Ex Hotel Lord Byron” di San Giuseppe Vesuviano e il CAS “Villa Angela” a Terzigno. Fino allo scorso ottobre, la cooperativa“Family” aveva in uso alcuni appartamenti in Via Martiri di Nassirya (strada che collega San Giuseppe a Poggiomarino) adibiti all’accoglienza. Quel presidio è stato poi chiuso per le proteste avviate da alcuni residenti, sembrerebbe a causa di precarie condizioni igienico-sanitarie. Oggi la cooperativa Family continua a gestire l’Ex Hotel Lord Byron e altre strutture in tutta la provincia.

In attesa di notizie dalla Prefettura sul CAS sangiuseppese, abbiamo incontrato il proprietario di “Villa Angela”, nonché gestore del CAS “Il Rosone” a Trecase, Massimo Esposito. A Marzo 2017, “Villa Angela” compie due anni. L’associazione nel 2015 si è aggiudicata la gara di appalto con il prezzo di 34,98 euro al giorno per ospite, in cui sono compresi i 2,50 euro di Pocket Money (soldi concessi ai ragazzi per necessità personali giornaliere). Il sig. Esposito ci accoglie con una lamentela: “Sono nove mesi che non ci arrivano i fondi. È la prima volta che viviamo una situazione simile”. A sua detta, è la prima volta che si verifica un ritardo così importante e non se ne conosce il motivo. Ci racconta come funziona la struttura, un tempo sede di un’azienda di confezioni. Nessun minorenne e nessun nucleo familiare tra i 250 ospiti, tutti uomini distribuiti in 16 stanze. Percorrendo via Zabatta, dov’è situato l’edificio, fino alla rotonda che collega Terzigno a Boscoreale e Trecase, si vedono tanti ragazzi che camminano per strada. Dalle prime ore del mattino, quando escono in cerca di lavoro, spesso in nero e sottopagato, fino a sera. Gli ospiti di “Villa Angela” vivono in questa porzione di periferia della periferia. Basta seguire i ragazzi per giungere al CAS. Così facciamo anche noi: seguiamo la fila lunga tracciata dalla loro biciclette, l’unico mezzo di trasporto in una zona dove bus e treni non sono mai arrivati.

Dopo otto anni dalla prima forte ondata migratoria, si può parlare ancora di emergenza? E se di emergenza si tratta, come può durare così a lungo? L’equilibrio tra accoglienza e business è spesso molto precario. Come precario è spesso il sistema di convivenza tra cittadini italiani e cittadini migranti. Non solo nelle lontane province del Nord Italia, ma anche nella provincia vesuviana. Anche per questo motivo, abbiamo deciso di raccontare le storie dei ragazzi dei CAS di San Giuseppe e Terzigno.

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