Vote 4 hope

novembre 4, 2008

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27 Responses to “Vote 4 hope”

  1. anonimo Says:

    ma quale speranza…

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  2. anonimo Says:

    Basta con l’unilateralismo americano; basta con le torture di Guantanamo;basta con la nefasta idea repubblicana di esportare la democrazia con la guerra.Oggi è una giornata storica non solo per l’America ma per il Mondo intero…Barack Hussein Obama è il 44 Presidente degli USA.Semplicemente il nuovo che avanza!bye bye Bush, ancora 75 giorni e non ti rivedremo mai più…sei stato il peggior Presidente che la storia abbia conosciuto!

    victor

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  3. sorax Says:

    Vi consiglio la lettura di Chomsky e Zinn per togliervi ogni dubbio sul fatto che democratici e repubblicani siano la stessa identica cosa… Un po’ come in italia il centrodestra e il centrosinistra.

    Vi incollo un’intervista di Chomsky che spiega tutto

    Barack Obama assomiglia ad uno spot pubblicitario, Hillary Clinton non va incontro a ciò che gli americani chiedono sull’Iraq, John Edwards propone una riforma sanitaria in tempi troppo lunghi ed i repubblicani seguono George W. Bush nel promuovere politiche contrarie all’orientamento della maggioranza degli elettori. È severo il giudizio di Noam Chomsky sull’inizio della campagna elettorale per la Casa Bianca 2008. Il linguista del Massachusetts Institute of Technology, voce provocatoria della sinistra liberal dai tempi della guerra del Vietnam ed autore del libro «Hegemony or Survival» innalzato dal presidente Hugo Chavez sul podio dell’Onu, affida alle pagine de «La Stampa» uno sfogo contro l’arte della politica nell’America del XXI secolo, esprimendo la speranza che «una volta ancora il popolo si batterà con successo, rendendo più democratica questa nazione».

    Quali sono i valori in palio nella corsa alla Casa Bianca?«Sarebbe bello rispondere a questa domanda se il mondo fosse diverso. Nel nostro mondo le elezioni evadono gli argomenti cruciali, importanti».

    Faccia un esempio…

    «Nel 2004 la maggioranza degli elettori non conosceva la posizione dei candidati su questioni-chiave. Non perché si tratta di elettori disattenti ma in quanto il sistema elettorale emargina gli argomenti».

    Questo vale anche per la campagna appena iniziata?

    «Se leggiamo cosa dicono e scrivono i consulenti elettorali dei candidati in campo è evidente che fanno i pubblicitari: tentano di vendere un prodotto. Il prodotto è il presidente. E lo vendono come fa la pubblicità, proprio come avviene per altri prodotti tipo le auto: niente informazioni ma immagini ed illusioni per indurti ad acquistare. Fra l’altro è l’opposto di quello che dovrebbe essere un mercato: consumatori informati che compiono scelte razionali nei loro interessi. Chi fa campagna elettorale vuole invece che gli elettori siano non-informati e facciano scelte irrazionali sulla base di illusioni. È drammaticamente vero negli Stati Uniti ma anche in altre democrazie industriali, a cominciare dall’Europa. La dimostrazione più evidente di quanto dico è il fenomeno Barack Obama».

    Anche il giovane senatore afroamericano dell’Illinois è prodotto pubblicitario?

    «In maniera esemplare. Attorno a lui c’è grande emozione, viene descritto come un grande candidato, una grande speranza. E lui cosa dice? “Dobbiamo avere speranza”, “Superiamo il cinismo”, “Trasformiamo l’America”, “Svegliamo l’America” e così via. Sembra Reagan. Tentare di capire cosa vuole fare è davvero difficile. Ho ascoltato 20 minuti di programma su Obama alla Radio Npr, una emittente liberal ed intellettuale, e non ha detto nulla in merito ai programmi».

    Che cosa manca ai candidati?

    «Tutti dicono di avere fede ed amare i bambini ma non spiegano con quali provvedimenti vogliono realizzare ciò che la gente chiede con chiarezza quando risponde alle domande dei sondaggi: riforma della sanità pubblica, ritiro dall’Iraq, diritti dei lavoratori, integrazione economica».

    In realtà John Edwards ha esposto un programma molto concreto per battere la povertà, spendendo 15 miliardi di dollari l’anno. Non le pare?

    «Edwards è l’unico candidato che finora ha espresso dei contenuti. Non solo sulla lotta alla povertà ma soprattutto sull’assistenza sanitaria. Abbiamo la sanità più carente del mondo industrializzato ed è la causa di un tasso di mortalità infantile ai livelli della Malaysia».

    Anche Hillary Clinton batte su questo tasto…

    «L’unico è Edwards ma è interessante il fatto che la sua proposta non vada nella direzione chiesta dalla maggioranza dei cittadini, ovvero l’assistenza sanitaria universale, perché vuole semplicemente estendere l’attuale sistema di benefici. Edwards vuole arrivare nel lungo termine a quanto la gente chiede di avere subito. È un ulteriore dimostrazione di come la democrazia in America non funzioni. Nessuno propone ciò che la gente vuole. Clinton? Quando dieci anni fa propose la riforma si trattava di un sistema che salvava le assicurazioni private rimanendo dunque inefficiente».

    Con l’afroamericano Obama, la donna Hillary e il mormone Romney queste elezioni si presentano come il volto di un’America dalle molte identità. Quale sarà l’impatto?

    «Scarso, perché sono candidati con identità diverse ma che condividono un approccio simile ai programmi. Prendiamo un altro tema centrale per gli americani, quello più importante nella politica estera: il ritiro dall’Iraq. Nessuno dei candidati in campo dice che vuole ritirare tutte le truppe. Se Bush ed i repubblicani vanno nella direzione opposta agli americani sostenendo l’invio di rinforzi, l’alternativa Baker-Hamilton è molto debole su cosa fare, Barack Obama è assai vago sul ritiro e gli altri democratici latitano. Prendiamo un altro tema, l’Iran: due terzi degli americani vogliono una soluzione solo diplomatica. Chi fra i candidati lo sostiene? Nel marzo 2004 Zapatero fu eletto in Spagna chiedendo di porre le truppe spagnole sotto comando Onu ma anche in America lo pensava la maggioranza degli americani solo che nessun leader lo sostenne».

    Perché a suo avviso i leader politici, repubblicani o democratici, non prestano attenzione alle richieste degli elettori?

    «Perché entrambi i partiti sono situati molto a destra dell’opinione pubblica. La classe politica è impossibilitata ad affrontare le richieste della base perché non le condivide. Vuole un altro esempio? Ricerche di opinione condotte in maniera scientifica, molto accurata, attestano che la maggioranza degli americani ritiene che il governo dovrebbe rinunciare al diritto di veto all’Onu, accettare il Tribunale penale internazionale e seguire gli orientamenti politici della maggioranza dell’Assemblea Generale. Quale leader politico lo sostiene? E ancora: due terzi degli americani da 30 anni sono a favore della ripresa dei rapporti diplomatici con Cuba ma è un’ipotesi della quale neanche si osa discutere».Insomma, la democrazia in America non funziona…

    «È disegnata per non funzionare. Consente ai politici di governare grazie ai loro elettorati e agli opinon-makers di guidare il dibattito, al fine di conservare i capitali privati».

    Quale la via d’uscita?

    «La democrazia può migliorare se riuscirà a ripristinare l’efficacia delle elezioni, degenerate fino a diventare campagne pubblicitarie. Le battaglie per i diritti delle donne, delle minoranze, dei sindacati, della libertà di parola sono riuscite in passato a migliorare l’America ma al prezzo di grandi battaglie e sacrifici. La classe politica odia la democrazia, in America come in Europa, vuole solo governare e lo strumento per farlo è la definizione dell’interesse nazionale».

    Insomma non si aspetta molto dal voto del 2008…

    «È presto per dirlo. Sono ottimista sulla possibilità che la gente impegnandosi possa riuscire a trasformare l’America in una democrazia più solida, disinnescando il sistema di autoconservazione delle elites».

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  4. anonimo Says:

    Al di là di polemiche e dietrologie varie, oggi l’America ha dato veramente prova di maturità democratica..Molto più di noi italiani, un elettorato molto manovrabile e corruttibile,di poca memoria e molto meno abituato alle novità.

    E’ la vittoria del popolo di internet, dei giovani, di tutta la gente perbene e non guerrafondaia…Quasi tutti i fondi sono stati reperiti sul web…Questo è un dato incoraggiante per tutti noi, soprattutto per chi utlizza internet come RPINCIPALE mezzo d’informazione e d’incontro…Chissà se qualche big del web non ci faccia un pensierino???

    W Obama e W i giovani

    Ciao Alberto

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  5. anonimo Says:

    L’importanza dei media sulla vita politica è innegabile, specialmente in tempi di campagna elettorale, dove tutti i candidati vengono presentati come spot pubblicitari. I “prodotti” McCain ed Obama mi sembrano però abbastanza differenti, non fosse altro che per una visione conservatrice ed una riformista della società e per un approccio non proprio simile ai temi di polita estera.Due anni fa poche persone avrebbero scommesso sulla vittoria di un senatore afro-americano nella corsa alla Casa Bianca; uno che, tanto per incominciare, alle primarie doveva vedersela con la signora Clinton.Oggi si parla del primo presidente nero della democrazia più influente del pianeta e, colore della pelle a parte, mi sembra che ci sia stato un voto per il cambiamento.Non proprio come votare centro-destra o centro-sinistra in Italia.

    victor

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  6. anonimo Says:

    basta co st’america….

    non è mica il vostro presidente obama?

    ma di che v’illudete?

    e poi tutti a dire della grande democrazia americana, ma se questa volta ha votato un pò più del 60% e gridano al grande successo! Vi rendete conto che in italia vota sempre più del 80% degli aventi diritto???? La nostra è una vera democrazia partecipata, pernsate che il 40% degli americani non va nemmeno a votare per il presidente, e noi, da qui, gli diamo tutta questa importanza!!!

    Siete fuoir, come al solito

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  7. TylerDurdan Says:

    Plaudo all’intervento del compagno sorax e alla disquisizione di chomsky.

    Sveglia ragazzi,è solo televisione!

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  8. anonimo Says:

    Sarà. Ma un presidente nero non è cosa da poco.

    Non svegliatemi. Voglio continuare a sognare.

    In culo a Bossi, Calderoli, Borghezio, Gasparri ecc. ecc. ecc.

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  9. agitprop Says:

    Non credo sia intellettualmente costruttivo chiudere tutto con il solito “sono tutti uguali”. Primo, perchè si trattano cose complesse con troppa sufficienza. Secondo, perchè ci si allontana dalla realtà, che è fatta di sfumature, di chiaroscuri, e non può essere guardata da lontano.

    Dire che Obama e McCain sono uguali non sta in piedi. Partiamo dalle similitudini. Entrambi sono stati candidati di rottura con l’establishment del rispettivo partito, segno tangibile della richiesta di un cambiamento di rotta, se non proprio di classe dirigente, avanzato dagli elettori americani. I competitors delle presidenziali americane vengono scelti attraverso un lungo e complesso processo di primarie, un voto popolare che offre molti più spunti analitici di qualsiasi sondaggio condotto su campioni di poche migliaia di persone. Ma questo è un altro discorso. Dicevo delle similitudini. Non fa molto piacere sapere che su materie come religione, aborto, matrimoni gay e diritti di nuova generazione, Obama e McCain non sono molto diversi. Anzi, non mancano posizioni molto più “laiche” del veterano del Grand Old Party rispetto al giovane Obama. Questo, dal mio punto di vista, quello di europeo ed elettore di sinistra, è sicuramente un nodo critico. Ma bisogna considerare la realtà americana e il ruolo che la religione e l’etica hanno ancora in quel tipo di società.

    Detto ciò, credo che le similitudini si fermino a questi due rilievi (l’atipicità dei candidati ed i valori religiosi), perchè le differenze sono molte e sostanziali. Basta leggere i programmi reperibili on line. Certo, una cosa sono le chiacchiere elettorali, altra cosa sono le politiche implementate una volta al potere. Ma ritengo si debba concedere ad Obama un dose, pur minima, di credito.

    Faccio qualche esempio.

    Politica Estera. La posizione di Obama diverge in modo netto da quella di McCain. Ad esempio, Obama ha più volte dichiarato che cambierà totalmente la politica americana verso la Russia, rallentando l’azione di allargamento della NATO ai paesi dell’Europa orientale e rilanciando un tavolo di confronto sulle tensioni caucasiche. E’ una svolta a 180 gradi rispetto all’amministrazione Bush ed a quanto avrebbe fatto McCain se avesse conquistato la Casa Bianca. Migliorare i rapporti con la Russia ha un impatto diretto sulla stabilità europea, perchè garantisce un flusso pacifico delle risorse energetiche verso il Vecchio Continente che, lo si voglia o meno, lega la propria crescita ai maldipancia del Cremlino. Ancora, in Medio Oriente l’approccio obamiano è davvero distante da quello dello sconfitto McCain. Più volte il senatore dell’Illinois ha ribadito la volontà di portare la Siria fuori dalla lista degli stati canaglia. Se tutto ciò accadesse, si potrebbe sbloccare, anche grazie alla vittoria della Livni nelle elezioni israeliane, il contenzioso relativo alle alture del Golan. Questo permetterebbe la chiusura di un conflitto decennale e aprirebbe nuovi scenari per il processo di pace con i palestinesi, con immediate ricadute sulla questione iraniana. Anche perchè, mai come oggi, il governo di Ahmadinejad è al minimo dei consensi popolari (strano ma vero: a modo suo, anche Teheran è una repubblica fondata sui sondaggi, oltre che sull’oscurantismo e la violenza) per la forte repressione che sta portando avanti contro il movimento femminista e, soprattutto, per le pessime performance dell’economia. Infine, la posizione di Obama è favorevole ad una ripresa del dialogo multilaterale, in tutte le sedi internazionali (ONU compresa), con attenzione rilevante per le nuove potenze emergenti (Cina, India, Brasile, Sud Africa, Corea del Nord, Indonesia, ecc), oltre che per la tradizionale partnership atlantica con gli europei. Su questo punto, anche McCain sembrava convergere, seppur con intensità diversa. E’ una rivoluzione rispetto agli anni dell’unilateralismo neocon, morto e sepolto con la vittoria democratica di ieri. Quello che non si dice, perchè non può essere detto, è che l’amministrazione Obama tenterà il recupero dei rapporti con Chavez, del cui petrolio il sistema ha bisogno, e un raffreddamento delle tensioni con Cuba: il messaggio di augurio alla vigilia del voto, che Fidel Castro ha inviato pubblicamente ad Obama (facendogli perdere qualche voto in Florida), non può che essere letto in tal senso.

    Veniamo all’Iraq ed all’Afghanistan: qui le note si fanno dolenti. Sull’Iraq, Obama è contrario ad un nuovo “surge”, ovvero all’aumento della pressione – e della presenza – militare che McCain avrebbe invece posto in essere, forte dei successi ottenuti con tale strategia dall’amministrazione Bush. Per quanto drammatica e sanguinosa sia ancora, la situazione iraquena tende alla stabilizzazione e Obama conta di poter ritirare i contingenti in cinque anni. E’ poco, pochissimo. Ma è pur sempre meglio della visione repubblicana: incremento dell’attività militare per “portare a casa i ragazzi” entro l’inizio del 2011. Tradotto: una carneficina in cambio della pacificazione definitiva sotto l’ombra dei carrarmati. Sull’Afghanistan, invece, la mia critica è ancor più netta: Obama ha proposto un incremento delle attività militari, con un protagonismo più marcato dei partner NATO presenti sul territorio e di quelli ancora non operativi. La decisione parte da motivazioni valide: in Afghanistan il contingente internazionale vive una situazione sempre peggiore e Hamid Karzai è molto meno che il sindaco di Kabul, come almeno poteva esser apostrofato ironicamente qualche mese fa. La presenza dei signori della guerra di matrice tribale e dei talebani è sempre più estesa, il traffico di oppio con cui le milizie resistenti si alimentano è più florido che mai e sta destabilizzando l’intera regione (vedi il Pakistan). Ma la risposta militare, a mio avviso, non farà altro che peggiorare la situazione: la comunità internazionale deve cambiare totalmente strategia, rilanciando la via diplomatica, anche con i talebani.

    Politica Interna. Le differenze, se possibile, sono ancora più lampanti. Obama ha proposto un piano di estensione dell’assistenza sanitaria da 100 mld di dollari. E’ poco? Certo, lo è, ma è un ottimo inizio. Dove reperirà i soldi non l’ha ancora chiarito, ma la proposta di un forte inasprimento della pressione fiscale per chi ha un reddito complessivo familiare superiore ai 250.000 dollari (circa il 15% delle famiglie) e per le medie-grandi aziende, va in questa direzione. Inoltre, verranno aumentati i sussidi per le famiglie povere, si interverrà per aiutare chi è stato colpito dal vortice dei subprime ed ora si trova sotto sfratto, si aumenteranno i risibili finanziamenti alle scuole pubbliche (che non sono solo istituti di periferia, ma anche eccellenze come le università di Berkeley e Chicago). Di più, è stata proposta una legge di riforma generale del diritto societario e sulla regolamentazione dei mercati finanziari, onde evitare che i recenti fatti possano riprodursi in futuro e per ridurre gli effetti negativi della speculazione (ad esempio, verranno messe fuori legge le vendite di azioni allo scoperto). Di tutto questo, non c’è traccia nel programma di McCain, che invece ripropone la solita ricetta repubblicana della riduzione dell’aliquota fiscale sui redditi più elevati. Non a caso, una delle obiezioni più in comuni che venivano mosse ad Obama era quella di proporre politiche “socialiste”. A noi europei questa cosa fa ridere, perché le policies “sociali” dei democratici ci sembrano, e sono, davvero timide; ma non bisogna dimenticare le differenze abissali che caratterizzano il sistema e l’elettorato americano rispetto al nostro. Infine, Obama ha promesso una revisione del Patriot Act, la legge con cui l’amministrazione Bush aveva ridotto le libertà civili come corollario alla guerra al terrorismo globale.

    Pochi esempi, ma che segnano la palese differenza tra i due candidati. Certo, se la si guarda in modo sbagliato, la vittoria democratica sembrerebbe non cambiare molto l’attuale situazione politica internazionale. Ma accettando una lettura che consideri più a fondo quanto accaduto ieri, allora l’eccezionalità della vittoria di Obama mostra tutta la sua rilevanza. Pensateci bene, ieri per la prima volta un afroamericano è stato eletto presidente della maggiore potenza mondiale. Quell’afroamericano si chiama Barak Hussein Obama ed ha meno di 50 anni: basterebbe la nota biografica per leggere la cifra della svolta epocale a cui stiamo assistendo. Certo, per tornare a Chomsky ed ha quanto detto da Sasà e Raffaele, questo non risolverà le contraddizioni della democrazia americana, né tanto meno quelle del capitalismo moderno. Ma se stessimo a filosofare ogni giorno su quanta purezza rivoluzionaria sia rimasta in un qualsiasi sistema politico occidentale e nei suoi candidati, i risultati sarebbe davvero scarsi. Abbiamo la maturità e l’intelligenza per capire che dietro il marketing elettorale, la retorica messianica, gli spot disneiani, gli stadi pieni di star hollywoodiane, la famiglia mostrata come fosse un quadretto del mulino bianco, Barak Obama rappresenta il compimento di un ciclo storico per la società americana e per il mondo intero. Probabilmente non sarà mai a sinistra quanto vorremmo che fosse, ma sarebbe davvero ipocrita negare l’inizio positivo di una nuova era.

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  10. anonimo Says:

    AGIT…NON SO CHE STAI FUORI!!!

    MA PERCHE’ NON CI FAI UNA BELLA LEZIONE SULLA DIFFERENZA TRA BASSOLINO E LA IERVOLINO?

    MAGARI IN MERITO ALLE DIVERSE VISIONI DELL’EMERGENZA RIFIUTI?

    CI INTERESSA UN POCHINO IN PIU’, VISTO CHE SE NON ERA PER IL GOVERNO BERLUSCONI AVEVAMO ANCORA I SACCHETTI IN CAMERA DA LETTO E FUORI LE SCUOLE.

    O FORSE E’ STATO OBAMA A RISOLVERE IL PROBLEMA? HA HA HA HA HA HA HA

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  11. mezzalasinistra Says:

    Concordo con Antonio.

    Ci sono molti dubbi e molte cose vanno prese con le molle, tenendo anche presente che alcune promesse elettorali potrebbero anche non essere mantenute, ma l’importanza di questa elezione è innegabile.

    Volevo solo sottolineare un aspetto secondo me importante del “candidato” Obama:

    Nel 2000 non aveva nemmeno l’invito per la convention democratica e dopo 8 anni è presidente della nazione. Prima vince le primarie contro la candidata appoggiata dai big del suo partito e imposta la sua raccolta fondi soprattutto via internet attraverso le donazioni di gente comune. Una storia politica alquanto singolare per diventare presidente degli stati uniti, soprattutto poi se si ha la pelle nera (immaginate 20 anni se era immaginabile pensare ad un presidente americano di colore).

    Di certo resto con tutte le riserve del caso e valuterò il suo operato una volta che si sarà messo al lavoro, ma credo sia innegabile dire che l’elezione di quest’uomo, così per come è avvenuta, rappresenta qualcosa di storico.

    Speriamo che lasci alla storia qualcosa di più che l’essere stato il 1o presidente di colore, ma questo è ancora presto per dirlo.

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  12. agitprop Says:

    Caro anonimo n10,

    visto che il post parla di elezioni americane, parlo di elezioni americane. Non mi sembra sia obbligatorio leggere. Certamente non è obbligatorio capire. E dubito che tu ne sia davvero capace.

    Quando si parlerà, come si è fatto spesso su questo blog, di rifiuti, se ne avrò la possibilità e le capacità, commenterò con una mia opinione. Tutto normale.

    Quello che manca davvero, è un tuo punto di vista. A patto che tu ne abbia uno sensato che vada leggermente oltre la nota politica di Studio Aperto.

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  13. anonimo Says:

    Sono pienamente d’accordo.Da “Non credo sia intellettualmente costruttivo chiudere tutto con il solito sono tutti uguali” fino alla “nota politica di Studio Aperto”. victor

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  14. anonimo Says:

    premetto che sicuramente tra in vecchio nano e obama tutti qui compreso me hanno preferito il democratico, ma vorrei fare alcune considerazioni sulla scelta e sulla scalata di Obama alla casa bianca.

    La scelta di Obama nei Democratici, nasce dopo quasi un decennio di frustrazione, dopo la seconda vittoria di bush; il problema assoluto della democrazia americana sta nel fatto che gran parte delle comunita’ di immigrati neri, ispanici e asiatache prima della tornata elettorale appena passata erano pressoche’ assenti dai seggi elettorali perche’ evidentemente non ben rappresentati ne’ dai democratici ne’ tantomeno dai repubblicani. Oggi, io credo che Obama e’ presidente degli U.S.A. per una scelta prettamente di marketing politico, poteva essere solo lui,giovane afroamericano di buona retorica, a prescindere dalle sue capacita’ politiche ( che io spero eccellenti) a poter resuscitare quell’elettorato. Concludo con la speranza che tutte le buone aspettative dei tanti votanti e dei sostenitori di tutto il mondo non siano deluse.

    Un saluto a tutti da ciccio

    CORRECTSTYLE O

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  15. anonimo Says:

    L’abc del piano di Barack Obama

    L’America cambierà. Ma come? Un punto di partenza sono le promesse fatte agli elettori degli Stati Uniti. Dall’economia alla previdenza sociale, dall’energia alla difesa, ecco l’Abc del piano di Barack Obama e Joe Biden, presentato sul sito ufficiale http://www.barackobama.com. Il contenuto tema per tema.

    Casa. Obama promette di aiutare i piccoli proprietari che si sono indebitati per la casa, “vere vittime” della crisi dei mutui subprime. Prevede l’introduzione di un credito universale del 10% per i mutui, in modo da dare uno sgravio fiscale alle famiglie di reddito medio che fanno fatica a pagare le rate del mutuo. Con il “Stop Fraud Act” intende combattere le frodi e i prestiti predatori, con sanzioni più severe per i professionisti colpevoli di frode. La legge assisterà le famiglie perché possano evitare i pignoramenti. La nuova amministrazione inoltre promuoverà norme per una maggiore trasparenza sui mutui.

    Commercio. Obama farà pressione sul Wto, l’Organizzazione mondiale del commercio, perché garantisca l’applicazione degli accordi commerciali e impedisca i sussidi agli esportatori stranieri e le barriere non tariffarie alle esportazioni Usa. Vuole emendare il Nafta, l’accordo di libero scambio con Canada e Messico. Sostiene incentivi fiscali per le aziende che mantengono o aumentano posti di lavoro negli Stati Uniti. Intende eliminare le deduzioni fiscali per le società che trasferiscono il lavoro all’estero.

    Difesa. Ricostruire le Forze Armate per adeguarle ai compiti del XXI secolo: l’impegno del prossimo comandante in capo è di completare lo sforzo avviato per avere 65.000 soldati e 27.000 marines in più. Obama si impegna a investire in missioni come la contro-insurrezione (rinsaldando per esempio forze speciali, operazioni di intelligence, insegnamento delle lingue straniere). Promette di rimettere in sesto la Guardia Nazionale e le Riserve, fornendo l’equipaggiamento necessario per intervenire nelle emergenze in patria e all’estero. Inoltre, intende coinvolgere gli alleati per fare in modo che facciano la loro parte per la sicurezza comune.

    Diritti civili. Combattere la discriminazione sul lavoro: Obama punta a ribaltare la sentenza della Corte Suprema che limita la possibilità per le donne e le minoranze razziali di contestare la discriminazione retributiva. Farà approvare il Fair Pay Act per garantire uguale paga per uguale lavoro e l’Employment Non-Discrimination Act per proibire discriminazioni basate sul sesso. Un altro obiettivo è quello di rafforzare l’applicazione dei diritti civili e porre fine alla politicizzazione del dipartimento della Giustizia avvenuta durante l’amministrazione Bush. La nuova amministrazione vuole espandere la legislazione federale contro gli “hate crimes”, i crimini basati sull’odio.

    Disabili. Opportunità di istruzione, anche universitaria, fine delle discriminazioni sul lavoro, sostegno alla vita in comunità: l’attenzione ai disabili segnala la maggiore enfasi sui problemi sociali dell’amministrazione democratica.

    Economia. L’America si aspetta dalla nuova presidenza una via d’uscita dalla crisi finanziaria. Per rilanciare l’economia, Obama vuole dare alle famiglie americane uno sgravio immediato di 1.000 dollari sulla bolletta energetica, una sorta di anticipazione dello sgravio fiscale permanente di 1.000 dollari l’anno per le famiglie della classe media. Promette anche 50 miliardi di dollari per rimettere in moto la crescita, 25 miliardi per evitare tagli statali e locali a spese sociali come sanità, istruzione, alloggi e aumenti delle tasse di proprietà e altre tariffe, altri 25 miliardi per impedire tagli a spese come la manutenzione di ponti e strade e la riparazione di scuole. Il tutto permetterebbe di salvare oltre 1 milione di posti di lavoro che rischiano di essere soppressi. In programma un pacchetto per affrontare l’emergenza mutui, con misure per debellare le frodi e garantire più serietà nel settore, più un credito universale per il mutuo. Prevista anche l’eliminazione delle tasse sui capital gain per piccole imprese e “start-up” per incoraggiare l’innovazione e la creazione di posti di lavoro. Inoltre, Obama si batterà per una politica commerciale equa e buoni standard lavoristici e ambientali in tutto il mondo.

    Energia. Cinque milioni di posti di lavoro “verdi” (“green collar”) e più efficienza energetica. Il nuovo piano per l’energia ruota intorno all’emancipazione dal petrolio e alla lotta all’effetto serra. Prevede di dare subito un aiuto d’emergenza alle famiglie (100 dollari di sgravio sulla bolletta energetica). Poi promette investimenti strategici per 150 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per catalizzare gli sforzi dei privati per un’energia pulita e creare cinque milioni di posti di lavoro. Tra gli obiettivi c’è di risparmiare tanto petrolio da potere eliminare nel giro di dieci anni le importazioni petrolifere dal Medio Oriente e dal Venezuela. Il piano punta a mettere in circolazione 1 milione di auto ibride entro il 2015, garantire che il 10% dell’elettricità venga da energie rinnovabili entro il 2012, il 25% entro il 2025, ridurre dell’80% entro il 2050 le emissioni che provocano l’effetto serra. Le compagnie potranno fare prospezioni in cerca di petrolio e gas ma in base alle licenze esistenti: se non le utilizzano, le perderanno. In programma anche lo sviluppo di centrali a carbone “pulito”. Per quanto riguarda l’energia nucleare, l’accento è posto sulla sicurezza degli impianti e lo smaltimento delle scorie.

    Etica. Obama promette di creare una banca dati Internet centralizzata per maggiore trasparenza su lobby e finanziamenti elettorali. Un’agenzia indipendente dovrà vigilare sulle indagini per violazioni etiche dei parlamentari. Nell’amministrazione Obama-Biden nessuna persona di nomina politica potrà occuparsi di regole e appalti relativi a un’azienda dove ha lavorato negli ultimi due anni.

    Famiglia. Oltre a uno sgravio fiscale di 1.000 dollari all’anno, Obama prevede altre misure per rafforzare la famiglia: togliere alcune penalizzazioni sulle famiglie sposate, dare un giro di vite agli uomini che evitano di versare gli assegni per i figli, trovare servizi a sostegno dei padri e delle loro famiglie, prevenire la violenza domestica. Per un migliore equilibrio tra famiglia e lavoro, promette di raddoppiare i programmi del doposcuola, espandere i permessi per motivi di famiglia e salute, dare alle famiglie a basso reddito un credito fiscale per le spese di assistenza dei bambini, incoraggiare orari di lavoro flessibili.

    Finanza pubblica. Con Bush il debito federale è aumentato di oltre il 50%: Obama intende riportare la disciplina fiscale, rivedere il bilancio federale “riga per riga” ed eliminare i programmi che non funzionano o non sono necessari. Assicura che ribalterà la maggior parte dei tagli fiscali per i ricchi introdotti da Bush, proteggendo però i tagli per i poveri e per il ceto medio. Inoltre, eliminerà deduzioni e scappatoie a favore di interessi particolari, come quelli dell’industria petrolifera.

    Immigrazione. Le frontiere vanno protette: più personale, infrastrutture e tecnologia lungo i confini e nei porti. Il sistema di immigrazione va migliorato, togliendo le inefficienze burocratiche e aumentando il numero di immigrati legittimi per mantenere unite le famiglie e soddisfare la domanda di lavoro. Obama promette di togliere gli incentivi agli ingressi clandestini, punendo i datori di lavoro che impiegano immigrati senza documenti. La nuova amministrazione appoggia un sistema che richieda agli immigrati senza documenti di pagare una multa, imparare l’inglese e mettersi in coda per diventare cittadini Usa.

    Industria manifatturiera. È prevista la creazione di un fondo, che si chiamerà Advanced Manufacturing Fund, per investire nelle più avanzate strategie manifatturiere e creare posti di lavoro. Saranno raddoppiati i finanziamenti per il programma Manufacturing Extension Partneship, che promuove l’efficienza, l’applicazione delle nuove tecnologie e la crescita dell’industria manifatturiera. Il piano di investimenti nell’energia pulita – 150 miliardi di dollari in dieci anni, 5 milioni di posti di lavoro – punterà a sviluppare la nuova generazione di biocarburanti, accelerare la commercializzazione di auto ibride ricaricabili, promuovere l’energia rinnovabile, investire in centrali a carbone a basse emissioni inquinanti, avviare la transizione a una nuova rete elettrica digitale. Si investirà nella forza lavoro qualificata, sono previsti più fondi per i programmi federali di formazione dei lavoratori che saranno estesi alle tecnologie verdi.

    Infrastrutture. Gli Stati Uniti dovranno ricostruire le infrastrutture nazionali di trasporto: strade e autostrade, ponti, porti, sistemi di trasporto aereo e ferroviario. Il programma democratico prevede la creazione di una nuova banca per investire nelle infrastrutture, la National Infrastructure Reinvestment Bank. L’istituto riceverà 60 miliardi di dollari in dieci anni. I progetti dovrebbero creare, direttamente e indirettamente, fino a due milioni di posti di lavoro e stimolare nuove attività economiche per circa 35 miliardi di dollari all’anno.

    Iraq e politica estera. Immediatamente, appena entrato in carica, Obama darà al segretario della Difesa e ai comandanti militari una nuova missione:porre fine alla guerra con successo. Il ritiro delle truppe sarà “responsabile e graduale”: il programma afferma che secondo gli esperti militari è possibile ritirare le truppe in modo sicuro nel giro di 16 mesi. La nuova amministrazione farà pressione sui leader iracheni affinché si assumano la responsabilità del loro futuro e spendano gli introiti del petrolio per la ricostruzione del proprio Paese….

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  16. anonimo Says:

    (continua dal post precedente…).Obama intende lanciare un’offensiva diplomatica per aumentare la stabilità dell’Iraq e della regione. Affronterà anche la crisi dei profughi. Obama promette di isolare Al Qaida, che ha approfittato della guerra in Iraq per risorgere e riorganizzarsi in Afghanistan. La forte presenza militare in Iraq ritarda la capacità degli Stati Uniti di portare a termine la lotta in Afghanistan. Con l’Iran, Obama sostiene la via della diplomazia, con aperture al dialogo. Ma se Teheran non cambierà il proprio comportamento aumenterà la pressione economica e l’isolamento politico. Obama appoggia una forte partnership tra Usa e Israele, che resta il più stretto alleato degli Stati Uniti nel Medio Oriente. Una priorità diplomatica sarà quella di fare progressi per porre fine al conflitto israelo-palestinese e raggiungere il traguardo di due Stati che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza. In programma anche una Nato più forte attraverso un maggiore contributo degli alleati: Obama solleciterà i Paesi membri a fornire truppe per le operazioni di sicurezza collettiva e a investire di più in operazioni di ricostruzione e stabilizzazione. Impegno anche per l’Africa: fermare il genocidio nel Darfur e porre fine al conflitto in Congo. In agenda anche il rafforzamento del trattato di non proliferazione nucleare.

    Istruzione. Obama intende riformare il programma “No child left behind” (nessuno studente deve restare indietro), voluto da Bush, che ha introdotto test standardizzati. Secondo Obama, l’obiettivo era giusto, ma la mancanza di finanziamenti e l’applicazione inadeguata l’hanno fatto fallire. La riforma prevede prima di tutto nuovi finanziamenti; poi il miglioramento del metodo di valutazione degli studenti. Il piano di Obama comprende anche investimenti per l’educazione dei bambini fino a cinque anni d’età. Un traguardo importante è rendere l’università accessibile a tutti: per pagare le alte tasse universitarie, è prevista la creazione di un credito fiscale di 4000 dollari per gli studenti, in cambio dello svolgimento di servizi di pubblica utilità. La somma coprirà i due terzi della retta di una media università pubblica e renderà completamente gratuiti, per la maggior parte degli studenti, i cosiddetti “community college”.

    Pensioni e previdenza. Fortemente contraria alla privatizzazione della previdenza sociale, la futura amministrazione Obama-Biden cercherà di affrontare la riforma del sistema in modo bipartisan. Obiettivo: garantire la solvibilità e la sopravvivenza della previdenza sociale anche nel lungo termine. Non è previsto l’innalzamento dell’età pensionabile, ma un contributo extra (dal 2 al 4%) a chi guadagna più di 250mila dollari l’anno. Per proteggere le pensioni e i risparmi pensionistici dei lavoratori, saranno riformate le leggi fallimentari, in modo da evitare che i tribunali pretendano più sacrifici dai lavoratori che dai manager e da aumentare l’importo di salari e benefici non pagati che può essere reclamato . Ci dovrà essere informazione trasparente sugli investimenti dei fondi pensione aziendali. Saranno creati piani pensionistici legati al posto di lavoro, in cui il lavoratore sarà iscritto automaticamente dal datore di lavoro (con la possibilità di chiamarsi fuori). Per gli anziani, che sono coperti dal programma di assistenza pubblica Medicare, il governo federale negozierà per ridurre i prezzi dei farmaci.

    Sanità. Il piano Obama-Biden prevede un’assistenza sanitaria accessibile a tutti gli americani. Le grandi aziende che non offrono l’assicurazione sanitaria ai lavoratori o non danno un contributo significativo, dovranno versare una percentuale della retribuzione per la copertura dei loro dipendenti. I costi dell’assicurazione medica saranno ridotti in modo da permettere a una famiglia media di risparmiare 2.500 dollari all’anno, investendo nella prevenzione e in un nuovo sistema informatico per controllare la spesa e ridurre gli sprechi. La sanità pubblica sarà rafforzata con la copertura di servizi di prevenzione, compresi screening anti-cancro, e potenziando la capacità di pronto intervento in caso di attacchi terroristici e disastri naturali.

    Tasse. Le famiglie del ceto medio avranno tagli fiscali: uno sgravio di 1000 dollari all’anno e aliquote del 20% inferiori a quelle dell’era Reagan. Nessuna famiglia con reddito inferiore a 250mila dollari all’anno avrà aumenti di tasse. Le famiglie che guadagnano più di 250mila dollari avranno aliquote fiscali uguali o più basse di quelle negli anni Novanta. Obama chiederà alle famiglie più ricche (il 2%) di restituire una parte degli sgravi ottenuti negli ultimi otto anni. Complessivamente, il piano comporta un taglio netto delle tasse, poiché gli sgravi per il ceto medio sono superiori ai maggiori introiti ottenuti dalle famiglie con redditi oltre i 250mila dollari. Gli introiti fiscali saranno al di sotto dei livelli prevalenti nel periodo di Ronald Reagan, cioè meno del 18,2% del Pil.

    Tecnologia. Proteggere l’apertura di Internet: Obama sostiene la neutralità della rete per un libero scambio di idee. Promette di portare la banda larga della prossima generazione in ogni comunità in America, anche con incentivi fiscali. Punta a migliorare la competitività degli Usa con investimenti nella scienza e nuovi sussidi di ricerca ai più brillanti ricercatori all’inizio della carriera. Il piano prevede di raddoppiare i fondi federali per la ricerca di base e rendere permanente il credito fiscale per la Ricerca e lo Sviluppo, in modo che le aziende ci possano contare quando decidono di investire in R&S negli Stati Uniti in un arco pluriennale.

    Mi è sembrato giusto riportare questo articolo tratto dal giornale “Il Sole 24 ore”, schematico e molto chiaro sul programma del Presidente Obama. victor

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  17. agitprop Says:

    D’accordo Correct, ma il voto dell’elettorato afroamericano non spiega tutto. Riflettiamo: i neri americani non sono immigrati, non vivono il dramma della clandestinità. Hanno altri problemi, ma la clandestinità e la difficoltà d’integrazione riguarda soprattutto i latinos. Quelli che di questi ultimi hanno diritto di voto, sono tendenzialmente ostili alla comunità afroamericana per motivi facili da individuare e, quindi, non sarebbero stati inclini a votare Obama. Inoltre, su una popolazione suoperiore ai 300 mln, la minoranza di colore è pari al 15%. Dunque, non c’è dubbio che Obama abbia portato al voto molti afroamericani, ma il punto centrale della sua campagna è stato portare al voto tutte le minoranze,storicamente poco inclini alle urne. In uno dei dioscorsi più famosi, il vincotore delle presidenziali faceva leva proprio sul melting pot quale punto di forza e progresso e non di disgregazione sociale. Obama parlava di se come del un figlio di un immigrato nero e di una bianca del Kansas, cresciuto in Indonesia e poi alle Hawaii, con parenti proveniente da tutte le etnie. Bisogna cogliere questo punto per capire la rivoluzione Obama: se si fosse presenttato come il candidato degli afroamericani avrebbe perso. Obama, invece, si è posto come il primo candidato post-razziale, immagine stessa del multiculturalismo come evoluzione storica della società americana.

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  18. anonimo Says:

    E NANASSSE

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  19. anonimo Says:

    AGITPROP , mi sembra che abbiamo detto quasi la stessa cosa……………. propongo un gioco :coloriamo di nero il nano vecchio e facciamo bianco Obama e chiamiamolo John Banality James Gun, ora se tu provassi a sottoporre alla scelta degli americani questi due senza specificarne le appartenenze politche e a trasmettere quei “fantastici” spot elettorali, per non parlare dei programmi che io trovo di una retorica che sconfina il patetico banale (solo mia considerazione)…………sono sicuro che saresti sorpreso del risultato.

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  20. anonimo Says:

    scusa il 19 sono io sempre ciccio CorrectstyleO

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  21. anonimo Says:

    Ciccio mi risulta difficile leggere la vittoria di Obama come una semplice operazione di marketing ed ancora più arduo mi sembra analizzare il voto americano prescindendo dalle capacità dei due candidati. Le minoranze in America rappresentano tra il 15% ed il 20% della popolazione , quindi il consenso di Obama deve abbracciare per forza settori più ampi della società. La grandezza del neopresidente è stata quella di essersi sempre presentato come il candidato di tutti, di aver convinto un gran numero di persone ad andare a votare, di aver messo in piedi un programma politico innovativo e, soprattutto ,di essere riuscito a suscitare forti emozioni e speranze di vero cambiamento, regalando al Mondo una pagina di alta politica (cosa a cui noi italiani non siamo più abituati da tempo..). Ora, sulla vittoria del candidato democratico, hanno inciso vari fattori(per esempio, otto anni di amministrazione Bush e la più grave crisi finanziaria dopo il 1929 -le quotazioni di Obama sono salite costantemente dal fallimento di Lehman Brothers in poi-), ma la vittoria ha il suo volto ed a me sembra di vedere in lui un grandissimo carisma. In fondo, se ha potuto contare sul sostegno di milioni di volontari, se ha ricevuto un numero impressionante di piccole donazioni( quelle, per intenderci, di 25$ e 50$), se è riuscito ad aggiudicarsi 350 voti elettorali quando ne bastavano 270 e ad incrementare la presenza del suo partito sia alla Camera che al Senato, qualche buona ragione, oltre allo schermo televisivo e alla campagna mediatica, dovrà pure esserci.

    Ps partecipando al tuo gioco: l’idea di McCain nero fa ridere mentre un Obama bianco avrebbe vinto lo stesso: le idee vanno oltre il colore della pelle. Non sei d’accordo anche tu?

    victor

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  22. anonimo Says:

    il fenomeno Obama è sopravvalutato. i giornali, quelli italiani in testa al coro, parlano di rivoluzione, di new deal. Io la vedo molto più semplicemente.

    1. Sono di destra, ma dopo 8 anni di Bush avrebbe vinto anche Chelsea Clinton come candidata democratica.

    2. Obama è giovane, è nero, è fuori dall’establishment politico;

    3. Obama è un oratore fine, acuto ed ha carisma;

    4. Incarna il sogno americano e fa tornare alla mente miti come Bob Kennedy e Martin Luther King;

    5. Non parla di banche ma di mutui e di case.

    Non pensate che gli americani che vanno a votare siano degli analisti politici, nè che leggano i programmi. Quello di Obama è populismo puro…ma non nell’accezione negativa del termine. Semplicemente non è il popolo ad essere d’accordo con lui…lui è il popolo, nel senso che dice esattamente ciò che gli americni, oggi, vorrebbero sentirsi dire.

    Le sue capacità possono essere verificate solo alla prova dei fatti, perchè la politica internazionale, la globalizzazione, la difesa, la lotta al terrorismo, l’economia occidentale, le tematiche energetiche, i rapporti con l’Iran, la Russia, la Cina, il Medio Oriente, Israele, sono tutti temi che non si affrontano nè si risolvono con un comizio, con uno slogan, con uno Yes We Can!

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  23. anonimo Says:

    Che le idee vanno oltre il colore della pelle questo per me e’ certo! credo che sia meno certo per l’ elettorato americano.

    Il mio gioco voleva mettere in evidenza proprio questo.

    Ciao

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  24. agostinocasillo Says:

    Mi dispiace entrare solo ora nel dibattito ma purtroppo sono tornato davanti al mio pc soltanto adesso.

    Prima di parlare di Obama faccio una breve premessa:ci piaccia o no l’elezione del presidente degli Usa produce degli effetti di portata globale. Benchè gli Usa non abbiano più la supremazia sul sistema internazionale, hanno ed avranno ancora per un bel pò, una indiscussa primacy. L’ascesa di potenze emergenti già da tempo ha portato molti a prevedere una trasformazione del sistema verso un modello multipolare. La transizione verso tale assetto sarà la sfida che gli Usa affronteranno nei decenni a venire.

    Le risposte a tale sfida possono essere disparate e otto anni di amministrazione bush hanno fatto presagire il risvolto più apocalittico possibile.

    Ed ecco che arrivo ad Obama. Non mi dilungherò sulle differenze tra il neo-presidente e McCain che già sono state egregiamente sottolineate sopra e che dimostrano come Obama ,inevitabilmente ,invertirà determinate tendenze.

    Ma quello che mi preme sottolineare è la forza simbolica dell’elezione di Obama, il quale incarna, nella sua stessa persona, il dialogo razziale. Simbolico in senso non pubblicitario, non di marketing. Simbolico come si ptrebbe definire la presa della bastiglia, la caduta del muro, piazza tienammen. Forza simbolica che ingenera necessariamente processi sociali derivanti dall’interiorizzazione dell’immagine stessa. Il fatto che Obama è nero determinerà ovviamente un fattore di novità nella società americana, non vederlo significa peccare di miopia. Certo, Obama non risolverà per magia le forti contraddizioni della democrazia americana. Ci sarà il tempo per vedere se le enormi aspettative si trasformeranno in politiche concrete.

    Tuttavia per chi come me crede nel multiculturalismo come valore essenziale dei sistemi democratici moderni, vedere un uomo di colore presidente degli USA è fonte di estremo piacere. A maggior ragione se il punto da cui si osserva è l’attuale Provincia Italia della crescente intolleranza razzista e dei recenti conati fascisti.

    Ciao a tutti

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  25. agostinocasillo Says:

    Ho commesso un errore nel commento precedente in quanto ho usato multiculturalismo al posto di interculturalismo. All’apparenza sembrerebbe minima la differenza ma l’essenza è molto diversa.

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