QUANDO L’INCOSCIENZA DISPREZZA UNA VITA

settembre 22, 2006

Iniziative, Legalità, News

Da buoni italiani ,popolo che dimentica in fretta, noi sangiuseppesi siamo se possibile di memoria ancor più corta. Il ricordo di un avvenimento non dura più del tempo del pettegolezzo, di uno stringente accanimento che poi si esaurisce nell’indifferenza di tutti . A questo va aggiunto l’inesistenza del senso civico ,e del rispetto delle più elementari regole del vivere in una comunità. Tutto ciò emerge con forza anche di fronte a enormi tragedie come la morte di ragazzi adolescenti o poco più, travolti dall’imbecille di turno che credendosi un equilibrista si esibisce in impennate e accelerate da circuito in strade piene di gente. Ma lo sgomento di ognuno di noi che pensa “poteva essere un mio familiare” viene sostituito dall’ accettazione (tutta napoletana e nostrana) della fatalità: così le comuni affermazioni “è succies”“è stat na’ disgrazia”, diventano litanie comuni che come pietre seppelliscono l’evento e esonerano la comunità dal riflettere su quello che succede. In una società malata , in cui una macchina o una moto potente sono simboli di riconoscimento sociale da ostentare , una morte non insegna ma diventa solo un numero. Non bisogna però cadere in facili generalizzazioni e scaricare l’intera responsabilità sui giovani ritenuti tutti “incoscienti e maleducati”. Anche io sono cresciuto a San Giuseppe e so cos’è l’euforia e la voglia di uscire fuori e di divertirsi di un adolescente, che però si scontra con la realtà di un paese che non da opportunità e che anzi spesso ne toglie. Allora capisco la goliardia, la voglia di mettersi in mostra dei ragazzi ma quando questo arriva a minare il bene più importante (la vita umana) c’è qualcosa che non va. Anche se questi tragici eventi purtroppo non si verificano solo qui da noi , questa non  è una giustificazione per non denunciare questa insensibilità diffusa.

Alla base di tutto questo c’è soprattutto una preoccupante mancanza di cultura intesa non solo in senso didascalico ma anche come rispetto di tutte le persone, dei beni comuni, delle istituzioni e così via. C’è da dire , però, che proprio queste istituzioni e in particolar modo l’amministrazione non contribuiscono per niente alla crescita e al miglioramento della comunità. Delle serie politiche giovanili sono inesistenti, eventi culturali, musicali , sportivi ecc potrebbero aprire delle opportunità ai ragazzi ma cosa più importante aiuterebbero a diffondere i valori alla base del vivere civile. Credo , anzi sono convinto che i cambiamenti sociali più importanti partono dal basso, dalla presa di coscienza della società civile; questo è tanto più vero nel nostro territorio dove dall’alto (la classe politica) proviene solo malgoverno e immobilismo. Si può cambiare in qualche modo! Anche un piccolo passo come una campagna di sensibilizzazione può diventare il primo gradino verso qualcosa di più importante.

 

 

COLLETTIVO VOCENUEVA

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17 Responses to “QUANDO L’INCOSCIENZA DISPREZZA UNA VITA”

  1. anonimo Says:

    Per chi non l’avesse visto:

    http://www.raiclick.rai.it

    Annozero

    Napoli tra crisi di legalità ed il dilagare della camorra

    Luigi

    Reply

  2. anonimo Says:

    stasera ci vediamo?

    Reply

  3. anonimo Says:

    STASERA

    ven 29 sett.

    ore 19.00

    Presentazione del Libro:

    “Gomorra” di Roberto Saviano

    A seguire dibattito con la presenza dell’autore.

    ore 21.00

    live set with:

    Co’Sang + Hermano Loco

    presso il:

    Centro Sociale Millepiani (CASERTA)

    Reply

  4. anonimo Says:

    Stasera ci vediamo ? Io avrei novità da esporvi. Fatemi sapere

    Luigi

    Reply

  5. brassen Says:

    Caro Luigi,quella sede è di tutti….,quando vuoi fare una riunione e vuoi andare nella sede,basta che chiedi le chiavi!!Penso che ognuno di noi deve essere l’organizzatore di se stesso, per non farsi organizzare….un saluto Pietro

    Ps:ripeto a tutti!!! il giovedì la sede Sarà sempre aperta…!!!!.

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  6. anonimo Says:

    Caro Pietro e Cari Ragazzi, allora ci vediamo alle 21:30… Un saluto a tutta la fascia d’ascolto.

    Luigi

    Reply

  7. anonimo Says:

    Napoli. Tra movimento e stasi.

    Posted in carte on September 19th, 2006by Andrea Raos

    di Luigi Pingitore

    Se al termine di ogni ricognizione sulla città la domanda che emerge è sempre la stessa, “c’è ancora per speranza per Napoli?”, vuol dire che in realtà la speranza già non c’è più. Che questo nominarla altro non è che una forma di evocazione. Che siamo lontani e condannati, abbastanza da dover ricorrere ad una domanda che vive di se stessa, e che non ha mai risposta, ma si moltiplica all’infinito rimbalzando da un giornale all’altro, da una cronaca all’altra.

    Per chi abita ogni giorno questa città però, la questione non è così semplice. Non si tratta di una domanda che può essere facilmente elusa, tra il caffé del mattino ed il lavoro. Perché è su questo punto che si gioca l’identità della città, e quindi la nostra; è qui che scopriamo l’ago che baricentra la nostra vita: divisi tra un fujtevenne di edoardiana memoria e un appello alla resistenza, tra una percezione della realtà che sconvolge e talvolta taglia il fiato, e un bisogno morale di non rendere i nostri giorni un semplice trascinarsi di ore su altre ore.

    Ma innanzitutto bisognerebbe dare un corpo a questa speranza. Capire che cosa dovrebbe indicare. Se allude ad una forma di normalità, che faccia in modo, ad esempio, che quegli indici che segnalano la quantità di rapine, scippi, e furti all’interno del territorio urbano siano perfettamente in linea con le altre metropoli italiane, o addirittura occidentali.

    Leggendo con attenzione l’ultimo reportage de “L’Espresso”, e soffermandosi solo sui dati, si può notare che in realtà nel semestre gennaio-luglio 2006, rispetto al medesimo semestre dell’anno precedente, c’è stata una diminuzione sostanziale di questi dati. Ma è evidente che non siamo di fronte soltanto ad un problema di natura quantitativa. Questa città in realtà comincia a patire una carenza antropologica fortissima, un’evoluzione in negativo. Ed è questo il vero allarme che lancia. Ed è anche la sua specificità, cosa che rende difficile il paragone con altre aree urbane simili.

    I numeri infatti non ci dicono di una realtà in cui, al dato statistico, si sostituiscono persone, e non ci dicono in che modo quelle persone sono parte integrante di un sistema – come lo definisce Roberto Saviano, l’autore dell’inchiesta per “L’Espresso”, che ha fatto della pervasività la sua cifra più naturale.

    In un rapporto tanto diretto quanto perverso, quello che si nota è che maggiore è la capacità di penetrazione del potere criminale nel tessuto della città, più profonda è la trasformazione antropologica delle persone. Forse oggi un nuovo reportage su Napoli dovrebbe cominciare da una ricognizione dei volti che affollano le strade.

    Va detto subito una cosa: una carrellata dentro Napoli è un movimento a perdersi, e a perdere. Alla fine di questo articolo saranno maggiormente chiare quattro cose, tutte obiezioni che sono ben presenti nella mente di chi adesso scrive. Primo: che parlare di Napoli in maniera esaustiva è impossibile. Secondo: che la parola in sé – Napoli – è una sorta di shock lessicale che imbriglia e richiama alla mentre troppe suggestioni, e che bisognerebbe seguirle tutte per cercare di proporre una decalcomania oggettiva della realtà cittadina. Una decalcomania in cui sia presente l’inferno abitato dai demoni, e il paradiso di bellezza che ferisce gli occhi per la lussuria della sua luce meridionale. Terzo: che descrivere l’attuale precarietà civile di Napoli non significa minimamente azzerare tutto ciò che di vivo e violentemente esatto fiorisce, ogni giorno (probabilmente ogni istante), in questa città. Quarto: che per tutto quello che si dirà a breve ci sono delle precisissime responsabilità politiche; ossia ci sono nomi e cognomi, colpevoli di omissioni, di incuria amministrativa e di contiguità. E quei nomi sono lì, nel presente storico-politico.

    Esattamente due anni fa, nell’ottobre del 2004, i riflettori dei media furono all’improvviso puntati sulla periferia napoletana, e più specificatamente sul triangolo Scampia, Case celesti, 167, per raccontare la faida criminale tra il clan camorristico dei Di Lauro e gli scissionisti.

    Sembrò quasi una scoperta etnico-antropologica entrare in quel territorio, per scoprire che era oramai sganciato definitivamente dallo Stato. Una vera e propria riserva indiana, dominata da leggi, uomini ed economie che nulla hanno a che fare con quella di tutti i giorni. Si sarebbe tentati di dire con quella reale, se non fosse, come dimostra Saviano, che in realtà è l’economia reale e trasparente della città ad essere dominata da questa.

    Oggi quello che sconcerta, e che nulla ha a che fare con indici e statistiche, è notare come quella riserva, quel cancro nel tessuto vivo della città, è la cellula dominante del territorio. Esporta modalità e uomini fino al cuore della polis, arrivando a installarsi in maniera permanete nel suo centro. E la città, spesso, lungi dal reagire, se ne lascia invadere, si appropria di quei modi replicandoli. Insomma, il cancro, che credevamo lontano e per questo eravamo disposti a tollerare, si sta impadronendo, senza alcun contrasto, del cuore della città. È quel modello teorizzato da Biagio De Giovanni per cui a Napoli è la periferia a dettare stili e stilemi alla città e non viceversa [negli Atti, per ora inediti, di un convegno tenutosi l’anno scorso. N.d.C.].

    Questa forma di invasione è avvenuta lentamente ma inesorabilmente. E tutt’ora continua, giorno dopo giorno, incastrando nei meccanismi della città ‘normale’ gli ingranaggi della macro economia di camorra. Cosicché sia impossibile per i primi continuare a funzionare senza l’apporto dei secondi.

    A fronte di tutto questo la risposta della politica è stata fondamentalmente di due tipi. O un silenzio impotente, che ha assunto troppo spesso i tratti dell’accettazione. Oppure, e questo è peggio, lo snaturamento del problema con la rivendicazione, nuovamente, del nudo dato quantitativo; quest’estate del 2006, ad esempio, sono stati citati esempi di altre città in cui la quantità di rapine, furti, omicidi è alla pari o superiore a quella di Napoli. Si sono eluse in un colpo solo la natura del problema e la sua fisiologia reale. Non si sta capendo insomma che qui è in corso una sorta di mattanza antropologica. Lenta e pervicace.

    Le forze dell’ordine e qualche cittadino oppongono una resistenza commisurata alle loro forze. Chi si oppone troppo, vedi il giornalaio ucciso di recente nella zona collinare del Vomero, viene tranquillamente eliminato.

    Le cellule, e sono molte e sono impazzite, devono espandersi e proliferare. Tanto più che il rallentamento economico in atto a Scampia a seguito della faida camorristica e il recente indulto hanno immesso nel territorio una quantità di manovalanza senza direzione, non votata ad altro che ad una sopravvivenza minima, disarticolata e spesso feroce. Come quella delle bestie.

    La trasformazione antropologica di queste persone in entità ferine è evidente dalla gratuità di una certa ferocia minima. Quello che colpisce, di nuovo, nel caso ad esempio della giovane donna scippata in una delle migliori strade della città durante il periodo estivo, non è l’azione in sé, quanto la qualità della violenza che viene messa in atto per quest’azione. Prendere a calci una donna incinta, correre addosso ad un turista americano appena aggredito, non per soccorrerlo ma per aumentare la dose di mazzate, oppure – caso di pochi giorni fa – sparare nel cuore della città ad un turista di passaggio, sono tutte azioni gratuite, figlie dell’assurdo ferino e del disordine politico.

    Di fronte a questo arbitrio insensato, altro dato che colpisce, è successo che le vittime di tali aggressioni si siano rivolte con lettere e appelli direttamente alle istituzioni cittadine: talmente forte è stato il sentimento di shock, che quasi non ci si è resi conto di quello che si è subito; perché si è consapevoli che non si è trattato del semplice gesto criminale, ma di qualcosa in più, di un passaggio magari momentaneo attraverso gli occhi dell’aggressore in un territorio mai visto, una jungla che in quegli istanti ha sospeso tutte le leggi occidentali che nella quotidianità ci rendono sicuri.

    Ma perché questa suppurazione così potente, soprattutto negli ultimi mesi, del cancro criminale? Bisognerebbe a questo punto non fermarsi solo sul dato, sul ‘testo’, ma maggiormente concentrarsi sul contesto in cui queste cellule impazzite si sviluppano. A costo di fare della sociologia spicciola, va considerato che migliaia di ragazzi in questa enorme cinta periferica che preme sulla città vivono:

    1) In contesti architettonici orribili, figli delle utopie anni settanta. O peggio nei casermoni popolari dell’edilizia anni cinquanta-sessanta. Veri e propri depositi di stoccaggio umano. Luoghi dove, se anche fiorisse per germinazione spontanea un sentimento estetico della vita, morirebbe immediatamente sopraffatto dalla bruttezza circostante. Ed è molto difficile che possa svilupparsi un sentimento etico nei confronti della vita dove non c’è mai la luce della bellezza.

    2) In rapporto diretto con modelli di vita, appresi dai media, riconducibili a poche categorie. Per lo più personaggi che godono di visibilità pubblica e facilità di danaro.

    3) Una sostanziale sospensione dello Stato. Che quando torna a farsi sentire garantisce poco: ha garantito innanzitutto quel contesto urbano e architettonico. E adesso rispetto a quei modelli di vita di cui sopra, offre l’alternativa di un’eccessiva precarietà nel mondo del lavoro, con conseguente abbassamento del livello di…

    Reply

  8. anonimo Says:

    SAN GIUSEPPE VESUVIANO –

    I giovani si attivano e creano un organismo di cittadinanza attiva.

    Se la civiltà di un paese si misura dalla cultura e dalle associazioni che esistono in esso, abbiamo ancora speranze per la nostra tanto sofferente area vesuviana. A San Giuseppe Vesuviano un gruppo di ragazzi dai vent’anni in su ha costituito il neonato comitato “Voce Nueva”. Dopo anni di associazionismo culturale, alcuni di questi ragazzi hanno deciso di uscire allo scoperto anche in ambito sociale, puntando ad una azione non strumentalizzata e fuori da logiche partitiche. La prima iniziativa pubblica del comitato è stata la realizzazione di una campagna di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale a San Giuseppe Vesuviano, tematica molto sentita nell’area.

    Sono stati affissi una serie di cartelli per le strade di San Giuseppe Vesuviano, raffiguranti il segnale di pericolo e la scritta: “Attenzione. P..azzoni che impennano”, un modo originale per dire che è possibile ribellarsi all’illegalità dilagante. L’iniziativa ha ovviamente avuto vita breve: i cartelli sono stati danneggiati, coperti o addirittura affissi dietro gli scooter di qualcuno. I motocicli sono tanti e l’educazione stradale poca. Sulle strade della nostra Regione ogni anno perdono la vita in incidenti stradali 320 persone, 12.000 restano gravemente ferite, 1.000 invalide a vari livelli (secondo l’ARCSS). Il 30% dei conducenti che perdono la vita hanno dai 15 ai 19 ann; tale incidenza è dovuta in particolar modo all’inosservanza di regole basilari, in primis l’inutilizzo del casco. Secondo una ricerca dell’ACI in Campania solo il 50% dei motociclisti indossa il casco, contro una media nazionale dell’80%.

    La percentuale campana si abbassa notevolmente nei piccoli centri abitati, nei quali è più semplice sfuggire ai controlli. A pagare le spese di una guida spericolata dei centauri dell’area vesuviana, sono i pedoni, che si trovano spesso travolti da motocicli, anche sui marciapiedi: decine gli incidenti che dall’inizio dell’anno hanno visto il loro coinvolgimento. Il movimento giovanile, realizzatore della campagna intende far riflettere l’opinione pubblica sulle problematiche che rendono le nostre cittadine invivibili, anche grazie ad un blog: http://www.vocenueva.splinder.com; “Un’unione di giovani anime spinte dallo stesso desiderio: cambiare lo stato delle cose” è il loro motto.

    FONTE: http://www.ilmediano.it 02/10/2006

    ciccio Turchetti

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  9. antosorg Says:

    per agostino:

    complimenti per il blog

    davvero una cosa interessante, con tanti scopi nobili, tra cui uno un po ambizioso, ma intrigante:

    Cambiare San Giuseppe Vesuviano,

    ho meglio, cosa ancor più complicata, cambiarne la mentalità.

    Io auguro buona fortuna, e per quanto posso cercherò di dare un mano

    a Presto

    Antonio Sorgente

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  10. anonimo Says:

    Anto’ sei un grande!!!

    Luigi

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  11. anonimo Says:

    un consiglio per cambiare san giuseppe vesuviano…….

    uccccccidiamo a pascal o russ

    Reply

  12. anonimo Says:

    o cellese for PRESIDENT

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  13. anonimo Says:

    O CELLES FOR PRSIDENT

    Reply

  14. anonimo Says:

    ACCORT O MAO MAO CHE IMPENNA

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  15. anonimo Says:

    ua che frasamm

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  16. anonimo Says:

    Davvero complimenti a tutti per il blog e per le iniziative che conducete. Spero presto di venirvi a trovare. Magari per la proiezione del prossimo film del cineforum.

    Un saluto ad Agostino, attendo una tua mail.

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