"Fino a quando sopporterò le notti andate in bianco,
sopporterò le raffiche di bombardieri,
sopporterò la mina che gli esplose sotto ai piedi?
Amhed ha 9 anni e adesso piange ancora,
l’amico israeliano gli concede una gamba sola
ed una gamba sola basta e avanza per odiare
sicuro basta un padre per pigliare il suo fucile"
da 10, 100, 1000 colpi e via – la brigata dei dannati
dicembre 31, 2008 at 1:23 pm
Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?
di Mustafa Barghouti*
Ramallah, 27 dicembre 2008
E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua.
Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di
concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la
differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i
bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano?
Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l’elettricità in
sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili – ma come si
chiama, quando manca tutto il resto?
E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un
attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa.
La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro
razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato
naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili – e
d’altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che
chiacchierano di Palestina, qui all’angolo della strada, sono per le
leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale,
una forza combattente? – se nei documenti ufficiali siamo marchiati
come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di
Israele? Se l’obiettivo è sradicare Hamas – tutto questo rafforza
Hamas.
Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia,
a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l’esercizio della
democrazia – ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi
esploda addosso improvvisa. Non è il fondamentalismo, a essere
bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al
fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non
restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza
di dialogo, la lucidità di ragionare il coraggio di disertare – non è
un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l’altra Palestina,
terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di
Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho
dovuto assassinarlo per autodifesa – la racconteranno così, un giorno
i sopravvissuti.
E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi
processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con
cui parlare. E effettivamente – e ma come potrebbero mai averlo,
trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto –
perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l’ennesima arma di
distrazione di massa per l’opinione pubblica internazionale? Quattro
pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi
terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna
azione che possa minare la fiducia tra le parti, come – testuale – gli
attacchi contro i civili.
Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine
di guerra non una questione di cortesia. E se Annapolis è un processo
di pace, mentre l’unica mappa che procede sono qui intanto le terre
confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti
allargati – perché allora non è processo di pace la proposta saudita?
La fine dell’occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di
tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di
reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall’altro lato del Muro?
Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani,
sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora,
l’indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano
la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco
nome a nome, vita a vita – solo una vertigine di infinito abbandono e
smarrimento.
Europei, americani e anche gli arabi – perché dove è finita la
sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo
di Rafah? – siamo semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo
delegazione – e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole
restano nell’aria, come sugheri sull’acqua. Offrite aiuti umanitari,
ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte,
non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate,
indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?
Una clinica forse? Delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di
convincervi – no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo
la severa giustizia – sanzioni, sanzioni contro Israele.
Ma rispondete – e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello
squilibrio, partigiani dei vincitori – no, sarebbe antisemita. Ma chi
è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per
sessant’anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per
gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i
lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi
palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a
illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull’ultima razza
soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli
inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l’esatto opposto,
sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah
chiamata sionismo.
Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro
l’altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico
stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.
So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna
autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo
apartheid – e genocidio. Perché non importa che le politiche
israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le
definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo
aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che
l’ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza
dei vincitori.
La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro
silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese,
davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di
Gaza?
(testo raccolto da Francesca Borri)
* Ex ministro dell’informazione del governo di unità nazionale palestinese
Articolo pubblicato su PeaceReporter
gennaio 3, 2009 at 11:48 pm
Safwat al-Kahlout, dell’agenzia ANSA, racconta quanto ha vissuto in prima persona
Si dorme con le finestre aperte per ridurre gli effetti dei bombardamenti
A Gaza non si muore solo di bombe
la testimonianza di un giornalista
Le malattie all’apparato respiratorio sono all’ordine del giorno
pochi vanno in ospedale e chi ci va trova una situazione disastrosa
GAZA – “Nella Striscia di Gaza è facile morire sotto un bombardamento israeliano ma lo è ancor di più prendendosi una polmonite. E’ quanto stava per succedere a me dopo che, come tutti i miei familiari, ormai da otto notti dormivamo con le finestre aperte e temperature esterne vicine allo zero. Siamo costretti a tenere le finestre aperte perché, in caso di bombardamento, l’onda d’urto delle esplosioni manderebbe in frantumi i vetri, ferendoci tutti”. Questa è la testimonianza di Safwat al-Kahlout, giornalista dell’ANSA che vive a Gaza.
E il racconto continua: “Dopo una settimana di sonni al gelo ieri mattina avevo una tosse fortissima e in serata non riuscivo più neanche a respirare. Impossibile andare in farmacia: sono quasi tutte chiuse e le uniche due ancora aperte non hanno più medicine. Inoltre è pericoloso spostarsi in città a causa delle bombe che possono piovere da un momento all’altro. Per fortuna un amico s’è offerto di accompagnarmi in ospedale. Arrivato lì ho trovato una situazione terribile: tutti i letti, compresi i pochissimi ancora liberi, avevano le lenzuola insanguinate. Un medico mi ha spiegato che non c’è tempo per lavarle perché come un paziente va via – vivo o morto – il suo posto viene occupato da un altro. E qualora il tempo ci fosse, non ci sono l’elettricità nè l’acqua necessarie alla lavanderia”.
“Incurante del sangue, ho steso la mia giacca sul lenzuolo e mi sono messo a letto. Poco dopo mi hanno inserito una flebo nel braccio ma, mi ha detto sempre il medico, dentro c’era solo una medicina per farmi respirare meglio. Poco dopo è tornato con una fialetta di antibiotico che ha aggiunto al liquido della flebo. Ma l’antibiotico – mi ha spiegato il dottore – ha dovuto in pratica ‘rubarlo’, perché tutti i farmaci più preziosi vengono tenuti sotto chiave in attesa di utilizzarli in caso di una temuta e sempre possibile offensiva terrestre degli israeliani”.
“Nelle mie stesse condizioni – con bronchite, polmonite e anche peggio – ci sono migliaia di persone a Gaza, mi ha detto il medico, ma non vengono in ospedale perché hanno paura di uscire di casa per via dei bombardamenti oppure si vergognano a farsi ricoverare ed occupare così un letto che ritengono più necessario per chi è rimasto ferito sotto le bombe”.
“Oggi, come lui stesso mi ha raccontato, il direttore dell’ospedale, dott. Hassan Halas, ha presieduto una riunione d’emergenza dei sanitari per valutare le condizioni del nosocomio in caso gli israeliani decidano di attaccare Gaza via terra. La situazione è disperata: l’ospedale, ha detto Halas, non è assolutamente pronto a ricevere e curare le migliaia di feriti che un’offensiva terrestre di sicuro provocherebbe”.
“Ma la situazione non è certo migliore nell’unico ospedale pediatrico di Gaza, il ‘Naser’ (Vittoria): una bomba israeliana caduta lì vicino ha distrutto i vetri di tutte le finestre del reparto maternità e della camerata dove nelle incubatrici c’erano 30 neonati prematuri. Sono stati tutti evacuati, insieme con le madri, nei locali del pronto soccorso, che non sono i più adatti alle loro precarie condizioni. Nel reparto oncologia dello stesso ospedale, inoltre, per mancanza di farmaci specifici per la cura della leucemia e di altri tipi di tumori, sono stati sospesi i trattamenti dei pazienti, che per il momento possono essere sottoposti soltanto ad analisi cliniche”.
da http://www.repubblica.it
gennaio 6, 2009 at 3:19 pm
Tre cliniche mobili dell’organizzazione umanitaria danese Folkekirkense Noedhjaelp (DanChurchAid) a Gaza sono state bombardate e distrutte dall’esercito israeliano. Lo ha reso noto oggi il segretario Henrik Stubkjaer. “Tutti i nostri tre ospedali mobili sono stati bombardati e resi inutilizzabili la scorsa notte – ha denunciato Stubkjaer – Eppure avevano chiaramente e ben in vista le insegne ‘Mobile Clinic’ “. Il segretario di DanChurchAid ha detto che il personale non è stato colpito