La legge è uguale per tutti.

luglio 15, 2008

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prima manifesto

"La legge è uguale per tutti, la giustizia quasi. Perchè? Perchè c’è gente più uguale degli altri." Paolo Rossi

In Italia nel 2008 c’è gente più uguale degli altri. C’è chi viene torturato e seviziato in una stanza di un carcere, costretto a cantare canzoncine fasciste, a baciare la foto del Duce, a pisciarsi nei pantaloni e deve vedere i suoi aguzzini a piede libero.

C’è invece chi blocca i processi a suo piacimento, chi si autoassolve a colpi di decreto legge, chi fa carriera in cambio di favori sessuali e cammina a testa alta tra la gente.

Bananas?

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9 Responses to “La legge è uguale per tutti.”

  1. TylerDurdan Says:

    Giggì ti rispondo con una storiella:

    Tanto tempo fa gli Dei crearono due nuove Dee,Verità e Menzogna.

    Verità era luminosa e bella,Menzogna tetra e brutta.

    Per agevolarla nel porprio compito,fu consegnata una sciabola a Menzogna.

    Appena Menzogna ebbe tra le mani la sciabola,ne approfittò per tagliare la testa a Verità e metterserla al posto della sua.

    Verità,rimasta dunque senza testa,trovò a terra quella di Menzogna e se la mise.

    Da quel giorno Verità e Menzogna continuarono a vivere a braccetto,confuse nella loro confusione.

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  2. albertocatapano Says:

    Vorrei invitare i lettori del blog ad ascoltare gli interventi di Travaglio riguardo il Lodo SchifoAlfano sul sito http://www.voglioscendere.it e consiglierei anche di scaricare la puntata di BluNotte di Carlo Lucarelli sul G8 a Genova…

    Anche in questo caso, l’informazione ha indotto a chi la pensa diversamente da chi invece è seriamente informato, che le violenze avvenute a Genova erano la conseguenza dei manifestanti violenti…

    Invece, come risulta dai numerosi video,testimonianze e pareri anche illustri visualizzabili nella ricostruzione di Lucarelli, quelle violenze ricordano un pò la dittatura di Pinochet…

    Chi era veramente a capo e responsabile di tutti i differenti reparti dello Stato presenti a Genova non si è mai venuto a sapere….

    Consiglio inoltre ai lettori di fare un pò di rassegna stampa dei giornali esteri per capire che a Genova non erano presenti solo italiani ma gente di tutto il mondo…(un esempio : leggi su http://www.elpais.com)(non basta conoscere lo spagnolo per capire che la stampa estera fu indignata per quella vicenda e lo continua ad essere per questa sentenza)

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  3. anonimo Says:

    Il dispositivo della sentenza tradisce totalmente quanto era stato chiesto dalla pubblica accusa e vi riporto di sotto il testo dal quale si desume palesemente per farvi avere un’idea.

    Secondo l’accusa, sarebbero avvenuti episodi di vera e propria tortura che avrebbero violato la dignità umana e i più significativi diritti alla persona. I pm, nella loro lunga requisitoria, raccolta in una memoria di 600 pagine, affermarono che nella «caserma di Bolzaneto furono inflitte alle persone fermate almeno quattro delle cinque tecniche di interrogatorio che, secondo la Corte Europea sui diritti dell’uomo, chiamata a pronunciarsi sulla repressione dei tumulti in Irlanda negli Anni Settanta, configurano ‘trattamenti inumani e degradanti’». L’accusa però, non potendo contestare il reato di tortura, che non esiste nel nostro ordinamento, ha scelto di chiedere per i vertici apicali preposti alla struttura l’art. 323 (abuso d’ufficio) oltre alla violazione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, abuso d’autorità nei confronti di persone arrestate o detenute, minacce, ingiurie, lesioni. I reati contestati saranno tutti prescritti nel 2009.

    Il tribunale – ha proseguito – ha ritenuto di assolvere diversi imputati. Leggeremo la sentenza e valuteremo se fare appello.

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  4. anonimo Says:

    visita http://www.ilconfronto.tk

    Ottaviano:Campo sportivo in fiamme. Ennesimo episodio di degrado e di delinquenza. Segui l’intera vicenda sul nostro sito. http://www.ilconfronto.tk

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  5. anonimo Says:

    I giudici ciechi di Bolzaneto

    di GIUSEPPE D’AVANZO

    Non era la “punizione” degli imputati il cuore del processo per le violenze di Bolzaneto. Quel processo doveva dimostrare (e ha dimostrato in modo inequivocabile, a nostro avviso) che può nascere senza alcuna avvisaglia, anche in un territorio governato dalla democrazia, un luogo al di fuori delle regole del diritto penale e del diritto carcerario, un “campo” dove esseri umani – provvisoriamente custoditi, indipendentemente dalle loro condotte penali – possono essere spogliati della loro dignità; privati, per alcune ore o per alcuni giorni, dei loro diritti e delle loro prerogative. Nelle celle di Bolzaneto, tutti sono stati picchiati. Questo ha documentato il dibattimento. Manganellate ai fianchi. Schiaffi alla testa. Tutti sono stati insultati: alle donne è stato gridato “entro stasera vi scoperemo tutte”. Agli uomini, “sei un gay o un comunista?”. Altri sono stati costretti a latrare come cani o ragliare come asini. C’è chi è stato picchiato con stracci bagnati. Chi sui genitali con un salame: G. ne ha ricavato un “trauma testicolare”. C’è chi è stato accecato dallo spruzzo del gas urticante-asfissiante. Chi ha patito lo spappolamento della milza. A. D. arriva nello stanzone della caserma con una frattura al piede. Lo picchiano con manganello. Gli fratturano le costole. Sviene. Quando ritorna in sé e si lamenta, lo minacciano “di rompergli anche l’altro piede”.

    C’è chi ha ricordato in udienza un ragazzo poliomielitico che implora gli aguzzini di “non picchiarlo sulla gamba buona”. I. M. T. ha raccontato che gli è stato messo in testa un berrettino con una falce e un pene al posto del martello.

    Ogni volta che provava a toglierselo, lo picchiavano. B. B. era in piedi. Lo denudano. Gli ordinano di fare dieci flessioni e intanto, mentre lo picchiano ancora, un carabiniere gli grida: “Ti piace il manganello, vuoi provarne uno?”. Percuotono S. D. “con strizzate ai testicoli e colpi ai piedi”. A. F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: “Troia, devi fare pompini a tutti”. S. P. viene condotto in un’altra stanza, deserta. Lo costringono a denudarsi. Lo mettono in posizione fetale e, da questa posizione, lo obbligano a fare una trentina di salti mentre due agenti della polizia penitenziaria lo schiaffeggiano.

    J. H. viene picchiato e insultato con sgambetti e sputi nel corridoio. Alla perquisizione, è costretto a spogliarsi nudo e “a sollevare il pene mostrandolo agli agenti seduti alla scrivania”. Queste sono le storie ascoltate, e non contraddette, nelle 180 udienze del processo. È legittimo che il tribunale abbia voluto attribuire a ciascuno di questi abusi una personale, e non collettiva, responsabilità penale. Meno comprensibile che non abbia voluto riconoscere – tranne che in un caso – l’inumanità degli abusi e delle violenze. Era questo il cuore del processo.

    Alla sentenza di Genova si chiedeva soltanto di dire questo: anche da noi è possibile che l’ordinamento giuridico si dissolva e crei un vuoto in cui ai custodi non appare più un delitto commettere – contro i custoditi – atti crudeli, disumani, vessatori. È possibile perché è accaduto, a Genova, nella caserma Nino Bixio del reparto mobile della polizia di Stato tra venerdì 20 e domenica 22 luglio 2001, a 55 “fermati” e 252 arrestati.

    È questo “stato delle cose” che il blando esito del giudizio non riconosce. È questa tragica probabilità che il tribunale rifiuta di vedere, ammettere, indicarci. Nessuno si attendeva pene “esemplari”, come si dice. Il reato di tortura in Italia non c’è, non esiste. Il parlamento non ha trovato mai il tempo – in venti anni – di adeguare il nostro codice al diritto internazionale dei diritti umani, alla Convenzione dell’Onu contro la tortura, ratificata dal nostro Paese nel 1988. Agli imputati erano contestati soltanto reati minori: l’abuso di ufficio, l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti, la violenza privata. Pene dai sei mesi ai tre anni che ricadono nell’indulto (nessuna detenzione, quindi). Si sapeva che, in capo a sei mesi (gennaio 2009), ogni colpa sarebbe stata cancellata dalla prescrizione.

    Il processo doveva soltanto evitare che le violenze di Bolzaneto scivolassero via senza lasciare alcun segno visibile nel discorso pubblico.

    Il vuoto legislativo che non prevede il reato di tortura poteva infatti consentire a tutti – governo, parlamento, burocrazie della sicurezza, senso comune – di archiviare il caso come un imponderabile “episodio” (lo ripetono colpevolmente oggi gli uomini della maggioranza). Un giudizio coerente con i fatti poteva al contrario ricordare che la tortura non è cosa “degli altri”. Il processo doveva evitare che quel “buco” permettesse di trascurare che la tortura ci può appartenere. Che – per tre giorni – ci è già appartenuta.

    I pubblici ministeri sono stati consapevoli dell’autentica posta del processo fin dal primo momento. “Bolzaneto è un “segnale di attenzione””, hanno detto. È “un accadimento che insegna come momenti di buio si possono verificare anche negli ordinamenti democratici, con la compromissione dei diritti fondamentali dell’uomo per una perdurante e sistematica violenza fisica e verbale da parte di chi esercita il potere”.

    I magistrati hanno chiesto, con una sentenza di condanna, soprattutto l’ascolto di chi ha il dovere di custodire gli equilibri della nostra democrazia, l’attenzione di chi ostinatamente rifiuta di ammettere che, creato un vuoto di regole e una condicio inhumana, “tutto è possibile”. Bolzaneto, hanno sostenuto, insegna che “bisogna utilizzare tutti gli strumenti che l’ordinamento democratico consente perché fatti di così grave portata non si verifichino e comunque non abbiano più a ripetersi”. È questa responsabile invocazione che una cattiva sentenza ha bocciato.

    Il pubblico ministero, con misura e rispetto, diceva alla politica, al parlamento, alle più alte cariche dello Stato, alla cittadinanza consapevole: attenzione, gli strumenti offerti alla giustizia per punire questi comportamenti non sono adeguati. Non esiste una norma che custodisca espressamente come titolo autonomo di reato “gli atti di tortura”, “i comportamenti crudeli, disumani, degradanti”. E comunque, il pericolo non può essere affrontato dalla sola macchina giudiziaria: quando si muove, è già troppo tardi. La violenza già c’è stata. I diritti fondamentali sono stati già schiacciati. La democrazia ha già perso la partita. I segnali di un incrudelimento delle pratiche nelle caserme, nelle questure, nelle carceri, nei campi di immigrati – dove i corpi vengono rinchiusi – dovrebbero essere percepiti, decifrati e risolti prima che si apra una ferita che non sarà una sentenza di condanna a rimarginare, anche se quella sentenza fosse effettiva (come non era per gli imputati di Bolzaneto).

    L’invito del pubblico ministero e una sentenza più coerente avrebbero potuto e dovuto indurre tutti – e soprattutto le istituzioni – a guardarsi da ogni minima tentazione d’indulgenza; da ogni volontà di creare luoghi d’eccezione che lasciano cadere l’ordinamento giuridico normale; da ogni relativizzazione dell’orrore documentato dal processo. Al contrario, la decisione del tribunale ridà fiato finanche a Roberto Castelli, ministro di giustizia dell’epoca: in visita nel cuore della notte alla caserma, bevve la storiella che i detenuti erano nella “posizione del cigno” contro un muro (gambe divaricate, braccia alzate) per evitare che gli uomini molestassero le donne.

    “Bolzaneto” è una sentenza pessima, quali saranno le motivazioni che la sostengono. È soprattutto una sentenza imprudente e, forse, pericolosa. Nel 2001 scoprimmo, con stupore e sorpresa, come in nome della “sicurezza”, dell'”ordine pubblico”, del “pericolo concreto e imminente”, della “sicurezza dello Stato” si potesse configurare un’inattesa zona d’indistinzione tra violenza e diritto, con gli indiscriminati pestaggi dei manifestanti nelle vie di Genova, il massacro alla scuola Diaz, le torture della Bixio.

    Oggi, 2008, quelle formule hanno inaugurato un “diritto di polizia” che prevede – anche per i bambini – lo screening etnico, la nascita di “campi di identificazione” che spogliano di ogni statuto politico i suoi abitanti. Quel che si è intuito potesse incubare a Bolzaneto, è diventato oggi la politica per la sicurezza nazionale. La decisione di Genova ci dice che la giustizia si dichiara impotente a fare i conti con quel paradigma del moderno che è il “campo”. Avverte che in questi luoghi “fuori della legge”, dove le regole sono sospese come l’umanità, ci si potrà affidare soltanto alla civiltà e al senso civico delle polizie e non al diritto. Non è una buona cosa. Non è una bella pagina per la giustizia italiana.

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  6. mezzalasinistra Says:

    Mi allontano (ma nemmeno tanto) dall’argomento del post per segnalarvi questo articolo di Sabina Guzzanti apparso oggi sul suo blog. Buona lettura.

    16 luglio nero

    Sabina Guzzanti

    Dunque quando hanno proposto di prendere le impronte ai Rom bambini compresi, abbiamo risposto per protesta: prendete le impronte anche a noi. La risposta del parlamento è: sì grazie.

    La sentenza su Bolzaneto sulla spedizione punitiva della polizia contro i cittadini innocenti insultati, traumatizzati, violentati, malmenati e torturati chiarisce cosa spetta a chi oserà ribellarsi a questo regime.

    In più il garante aggiunge che pure Myspace youtube e facebook sono pericolosi perché la gente si organizza e comunica al di là dei mezzi controllati dal regime. Permetterebbero di diffondere una pubblicità personalizzata, che significa iniziative culturali e politiche diffuse con criteri indipendenti.

    Saccà che si è macchiato di colpe che per un funzionario pubblico prevederebbero oltre che al carcere, un onta indelebile, non potere mai più guardare negli occhi nemmeno i figli, non viene nemmeno licenziato. Curzi una volta che a rifondazione è stato tolto il potere di lottizzare e ricattare ci chiarisce che non c’è da parte sua nessun altro interesse di principio da difendere. Rilascia dicharazioni fumose per giustificarsi che nessuno ha voglia di leggere. I giornali ne parlano limitandosi a dare la notizia senza gridare allo scandalo perché la parola scandalo è poco riformista.

    Il concetto di giustizia sarà estinto e solo le persone ricattabili avranno accesso a posti di potere grandi e piccoli.

    Il simblo della nuova soglia di impunità è del turco già sindacalista corrotto (corrompere un sindacalista non è reato, lo sapevate?) ora colpevole pure lui non solo di un reato ma anche di un reato così schifoso che in condizioni normali la polizia dovrebbe proteggerlo dal linciaggio, invece viene difeso dal premier e da pezzi grossi di ogni provenineza.

    Berlusconi dichiara che la carfagna è come Santa Maria Goretti come si vede dalle foto del calendario. La chiesa naturalmente non considera la dichiarazione qual’è cioè una bestemmia. Sono tutti concentrati a torturare una famiglia già colpita da un dolore devastante. Le buone suorine pretendono la custodia di una ragazza morta da sedici anni per esercitare il loro diritto al vampirismo.

    A posto occupato una volta da Borsellino viene eletto Di Pisa accusato e tutt’ora sospettato di avere mandato le lettere anonime contro Falcone. Le impronte sulle lettere erano sue ma alla fine non sono risultate abbastanza chiare per condannarlo.

    Fra 5 anni l’Italia sarà un paese fallito e saremo tutti troppo poveri per avere il privilegio di pensare ad altro oltre che sopravvivere.

    A questo punto la battaglia è sul tempo.

    Chi ama questo paese si deve organizzare in fretta ed essere presente con metodi pacifici ma determinati. I giovani soprattutto devono reagire. Se vi fate spaventare adesso vi condannerete a un’esistenza di schiavitù e umiliazione.

    Organizziamoci, incontriamoci, discutiamo e agiamo.

    Chiunque proponga soluzioni violente è al 90% un infiltrato e va allontanato senza titubanze.

    Il destino che ci aspetta è comunque duro. Meglio affrontarlo combattendo che spegnerci in una depressione impotente.

    Nessuno di noi ha provato l’esperienza di una dittatura. Però qualcuno ne ha sentito parlare. Approfittiamo anche della presenza di tanti cittadini dell’est per capire che sapore ha. Chi la vede come una serie di limitazioni con cui si può convivere deve fare uno sforzo di immaginazione in più. Deve pensare alla paura continua che qualcuno senta un tuo discorso per le scale e ti denunci perché magari è invidioso per la laurea di tua figlia. deve pensare alla corruzione che non ha più freni, a una situazione economica che precipita venendo a mancare qualsiasi forma di meritocrazia e competenza. Deve pensare a un apparato di burocrati perversi che in cambio di favori anche insignificanti vendono la vita delle persone senza difesa. Le dittature passano perché la maggioranza della gente pensa che i pestaggi delle squadracce e della polizia non li colpiranno mai. Passano grazie a tutti quelli che si fanno due conti e ritengono che non subiranno poi tanti danni. Passano per tutti quelli che hanno letto pochi libri e tra questi magari ce n’è uno di fabio volo. Tra quelli che la storia non l’hanno capita perché gli basta ricordarsi le date per passare l’esame e non si fanno domande, non si immedesimano, non mettono a confronto la loro realtà con quella di chi ha vissuto prima.

    Così ci siamo. Ci stiamo entrando con tutte le scarpe, non più nella fase preparatoria ma in quella più avanzata. Per questo molti me compresa hanno votato PD. Per evitare di trovarsi a questo punto. Io non mi pento di averlo votato. Non per veltroni non per la Binetti, ma perché sarebbe stato meglio avere ancora la possibilità di discutere.

    Le persone per bene ritengono a maggioranza di non poterci fare più niente. Forse hanno ragione. Una cosa però si può ancora fare, vivere liberi, usare tutta la libertà che ci spetta, anche e soprattutto quella che non abbiamo mai avuto il coraggio di usare. Questa è l’unica soluzione possibile. Continuare a comportarci da persone libere fino alla fine. Il tallone della dittatura non si appoggerà mai sul nostro spirito. Questo è l’unico atteggiamento che ci può salvare e che ci salverà comunque vadano le cose.

    Buona giornata e coraggio. Questo blog è a disposizione di tutti quelli che vogliono condividere la loro esperienza di libertà. E di tutte le iniziative legate a questo scopo.

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  7. agostinocasillo Says:

    La sentenza sulle torture di Bolzaneto (perchè di questo si tratta) mi ha lasciato davvero sconcertato. Il fatto che in una di quelle che vengono definite democrazie avanzate , nella civilissima Europa, possano essere sospesi i diritti fondamentali di ogni uomo è a dir poco deprimente. Anche senza entrare nei tecnicismi del processo (non ho una gran preparazione in materia) è facile rilevare che le pene comminate siano state ritagliate su misura per evitare il carcere agli aguzzini.

    Alcuni commentatori sottolineano l’assenza nel nostro ordinamento del reato di tortura come causa di tali blande pene.

    Ovviamente è un grave vuoto pensando anche ai trattati internazionali sui diritti umani di cui l’Italia è parte.

    Tuttavia questa non può essere presa a gistificazione. Un fatto di tale gravità avrebbe dovuto comportare non solo una sentenza “storica” ; con qesto termine non intendo vendicativa (mai la giustizia deve esserlo) ma esemplare nel senso letterario. Avrebbe dovuto essere il momento in cui lo Stato, per mezzo di uno dei sui poteri (quello giudiziario) affermava con forza la contrarietà di tali nefandezze ai principi basilari della Costituzione e quindi della nostra società.

    A questo sarebbe dovuto aggiungersi anche una presa di coscienza della popolazione e per riflesso della classe politica che avrebbe dovuto rispondere (ancor prima della sentenza) individuando le reponsabilità politiche e colpendo la catena di comando che derminò le porcherie di Genova.

    Purtroppo tutto questo non è avvenuto!

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  8. anonimo Says:

    INVECE DI DIRE QUESTE CAVOLATE UN ALTRO RAGAZZO ITALIANO è MORTO A ROMA UN MOLDAVO ZINGARO DFEL CAZZO NN SI è FERMATO ALL ALT DELLA POLIZIA ORA BASTA CHI NN APPARTIENE ALLA RAZZA ITALIANA FUORI DALLE PALLE

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  9. mimmorusso Says:

    E tu,appartieni ala razza italiana?

    MIMMO RUSSO

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